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Il rispetto deve essere reciproco. Si pretende ma si deve riservare anche agli altri. È una semplice constatazione che potrebbe apparire quasi scontata, banale. Eppure negli ultimi anni, si assiste ad un declino sempre più vertiginoso di quella che un tempo si chiamava “educazione”.

Se prima i nostri nonni e genitori ci insegnavano il rispetto per gli altri, per le istituzioni e per le regole della cortesia, ora sembriamo precipitati in una sorta di terra di nessuno senza morale, dove ognuno fa quello che gli pare e dove tutto è dovuto.

Occorre cercare di recuperare il senso di responsabilizzazione e delle regole etico/morali. Questo non significa diventare dei monaci zen o dei guru religiosi, bensì stabilire delle performanti linee guida nella propria vita e rispettarle.

La cortesia è il cuore non solo di un buon cittadino e di una brava persona, ma anche di un buon professionista.

Il contatto umano è cruciale nel lavoro in cui il rapporto medico-paziente non può limitarsi alla mera prestazione odontoiatrica. Tuttavia, molti professionisti mettono in secondo piano questa componente, come se le persone dovessero essere loro grate per il privilegio di essere curate.

Questo comportamento era la prassi comune fino ad una trentina di anni fa, quando i dentisti erano molti di meno e quindi la scelta ridotta creava un regime di monopolio con i pazienti quale che fosse il carattere del medico.

Oggi, invece, questa situazione è mutata e molti professionisti si lamentano delle sale d’attesa mezze vuote e delle agende intonse.

È stato anche creato un termine per questa situazione: “sindrome della poltrona vuota”.

La domanda che bisognerebbe farsi è: “Quanta attenzione riservo ai miei pazienti?”.

Prima di iniziare con le giustificazioni in cui tutti siamo bravissimi, dovrebbero rispondere con sincerità a questi punti:

  • rispetto gli orari degli appuntamenti che ho in agenda?
  • come viene accolto il paziente da me e dai miei collaboratori quando arriva in studio?
  • il paziente è considerato come un mero caso clinico oppure come un bene prezioso, da coccolare e curare in ogni sua necessità?

Le domande non sono a caso. Capita spesso, di trovare gravi carenze per ognuno di questi punti.

Il risultato è sempre lo stesso: diradamento di pazienti e frustrazione del titolare, che consapevole della sua bravura clinica non si capacita della morìa di pazienti.

L’alta professionalità nel 2022 è diventata solo una parte (importantissima) del biglietto di accesso al nuovo mondo odontoiatrico.

Senza quella si è fuori a priori, mentre bisogna studiare ed applicare anche le importanti attività extra-cliniche necessarie ad una piccola-media impresa per resistere ai marosi della concorrenza nel settore.

Il paziente è diventato molto più esigente rispetto al passato e pretende di essere collocato al vertice delle attenzioni perché sa benissimo che, in caso contrario, il professionista può essere sostituito subito e con comodità.

Ha solo l’imbarazzo della scelta con le cliniche odontoiatriche estere, i franchising e i low cost ormai presenti dappertutto.

Il vero fattore differenziante non si gioca più solo sulla bravura clinica, ma sul rapporto umano.

IL PAZIENTE È DIVENTATO MOLTO PIÙ ESIGENTE RISPETTO AL PASSATO E PRETENDE DI ESSERE COLLOCATO AL VERTICE DELLE ATTENZIONI PERCHÉ SA BENISSIMO CHE, IN CASO CONTRARIO, IL PROFESSIONISTA PUÒ ESSERE SOSTITUITO SUBITO E CON COMODITÀ.

Cortesia, attenzione, empatia, estetica, organizzazione sono i vantaggi degli studi mono-professionali rispetto alle grandi catene, a patto che il titolare decida di far propria questa mentalità.

“Il paziente ha il potere di licenziarvi quando vuole, semplicemente cambiando studio.”

Sta al professionista fare in modo di diventare per il paziente piacevolmente indispensabile grazie alle cure, l’alta professionalità, il rapporto umano, la comunicazione e l’accoglienza, sia dello studio che di tutto il personale.